Estate 2010, esce The Suburbs, terzo album in studio degli Arcade Fire, band indie-rock di Montréal ormai affermatasi dopo Funeral (2004) e Neon Bible (2007).

Il disco

In questo concept album Win Butler, Regine Chassagne et Co. affrontano il tema della crescita e del cambiamento, mescolando folk, rock, pop corale ed epica orchestrale con la finezza che li caratterizza e che ne ha sancito il successo, loro malgrado.


L’album si apre con la title-track dove vengono snocciolati i temi del disco; il protagonista condivide le sue esperienze d’infanzia nei Suburbs, quartieri residenziali che sorgono ai confini delle grandi città (chiamati anche Sprawl). L’auto (in copertina) è il vettore che permette all’autore e ai suoi amici la fuga verso la città. La paura (fear) di rimanere intrappolato nella piccola realtà periferica spinge a sognare di lasciare il quartiere e trasferirsi in città. Questo timore viene esternalizzato in una guerra-gioco tra ragazzi dello stesso quartiere (Suburban War, City with No Children). Ma la guerra rappresenta anche un dissidio interno per i giovani dei Suburbs: rimanere nella piccola realtà familiare o fare il salto verso l’ignoto inseguendo il proprio sogno. Il ritornello, nella sua semplicità, è la chiave di lettura per tutto il disco: la prima strofa “Sometimes I can’t believe it” viene eseguita in falsetto, per poi scendere con la seconda strofa “I’m moving past the feeling” su note più basse, richiamando il passaggio fondamentale che per ogni bambino segna la fine dell’età infantile e l’inizio della pubertà. Compare inoltre il concetto di “feeling”, che in questo caso descrive la sensazione di nostalgia per un periodo o un luogo di un passato irripetibile. Il ritmo incalzante di Modern Man nasconde lo scontro generazionale tra giovani, intrappolati nei soliti cliché:

“Maybe when you’re older you will understand

Why you don’t feel right

Why you can’t sleep at night now”

E chi, invece, si sente superato e fuori luogo:

“Oh, I had a dream I was dreaming

And I feel I’m losing the feeling

Makes me feel like

Like something don’t feel right”

L’equilibrio viene raggiunto nel concitato bridge finale; adesso l’autore può superare le sue insicurezze e inseguire i propri sogni; solo così può dirsi un Modern Man.


Le tempeste sonore di Rococo, i violini sognanti di Half Light I e l’uso dell’elettronica in Half Light II e Deep Blue sono tanto evocativi quanto rappresentano una fine capacità di adattare i più vari strumenti al senso del brano. Month of May è un bell’omaggio all’idolo Bruce Springsteen. In We Used to Wait viene descritto l’inesorabile avvento del digitale a discapito di tradizioni analogiche legate all’infanzia dell’autore, ricorda The Times They Are A-Changin di Bob Dylan ma è calato in un contesto più Indie e meno politico. Il disco si chiude come era iniziato, stavolta il tempo è dilatato e l’arrangiamento è sinfonico ed imponente. Il ritornello iniziale sfuma nel nulla ed il cerchio si chiude ma il feeling di un tempo che non tornerà più è destinato a ripetersi al prossimo ascolto.

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