Qualche giorno fa sono andato al cinema a vedere “Io, noi e Gaber” film-documentario diretto da Riccardo Milani e con mia sorpresa ho trovato la sala pienissima. Il film è stato proiettato in tutte le sale d’Italia nei giorni 6, 7 e 8 novembre 2023 ed è unn ritratto interessante e completo della figura di Giorgio Gaber, uno degli artisti, attori, cantanti ed intellettuali più importanti ed influenti del nostro paese.

Come dicevo prima, la sala dove ho visto la pellicola aveva registrato il tutto esaurito per quel giorno ed ho constatato che gran parte del pubblico Giorgio Gaber l’aveva vissuto. Attorno a me la gente ricordava, si commuoveva, cantava e rideva. Come minimo aveva assistito dal vivo ai celebri spettacoli teatrali, tanto sconvolgenti quanti rivoluzionari. Per me Gaber ha dato un significato ed un volto alla parola “autenticità”, facendo del suo essere anticonformista e contro corrente il suo stile poetico e la sua missione. Forse è per questo che le canzoni di Gaber sono ancora attuali, tanto nella politica quanto nella società.

L’artista

Cercherò di darvi qualche rapido cenno sulla carriera di Gaber almeno fino al momento della pubblicazione dell’album che ho deciso di analizzare con voi. Penso che sia utile a capire parte dell’evoluzione e ad avere più chiari alcuni argomenti trattati nel disco. Giorgio Gaber nasce nel 1939 da una famiglia della borghesia milanese. Durante l’infanzia viene colpito due volte da poliomielite. Il primo attacco, occorsogli verso i nove anni, gli colpisce il braccio sinistro procurandogli una lieve paralisi alla mano. Per questo motivo il padre decide di regalargli una chitarra, in modo che possa esercitare le dita in maniera divertente e non pedante. Giorgio si innamora dello strumento ed è profondamente influenzato dai grandi chitarristi jazz statunitensi: Barney Kessel, Tal Farlow {:target=”_blank”}, Billy Bauer {:target=”_blank”}. Dopo la guerra, a metà degli anni ‘50, si unisce ai “Rock Boys”, il gruppo rock n’ roll di Adriano Celentano e dove al pianoforte suona Enzo Jannacci.


Durante quegli anni conosce anche Luigi Tenco, appena trasferitosi a Milano da Genova. Viene notato da Nanni Ricordi, direttore artistico dell’omonima casa editrice musicale, che lo avvia alla carriera solista. Il primo disco, fusione di musica leggera e Rock ‘n’ Roll gli frutterà un’apparizione televisiva durante una puntata del Musichiere di Mario Riva nel 1959.

Fun fact, quel jukebox che è parte della scenografia del video precedente rappresentò il debutto televisivo di altri due giganti della musica leggera italiana: Mina Anna Maria Mazzini, detta Mina e del già citato Adriano Celentano. Gli anni ‘60 consacrano il successo televisivo di Giorgio Gaber e di questo periodo sono: “Non arrossire”, “La ballata del Cerutti”, “Trani a Gogo” e “Porta Romana”. Dopo la prima comparsa televisiva Gaber inanella un successo dietro l’altro. Le sue canzoni sono leggere e ben scritte, descrivono scene di epica quotidianità nella milano del boom economico. Durante tutti gli anni ‘60 la maggior parte dei testi che canta Gaber sono scritti da Umberto Simonetta.

In quegli anni Gaber incomincia ad interessarsi alla canzone francese ed in particolare agli chansonniers della Rive Gauche parigina. L’esempio più famoso di questa corrente artistica è sicuramente Jacques Brel. Altri cantanti italiani, tra cui Gino Paoli, Sergio Endrigo, Umberto Bindi, Bruno Lauzi, Enzo Jannacci e Luigi Tenco, come lui, cercano di instaurare un punto di contatto tra la canzone leggera italiana, il rock americano e la profondità lirica e testuale tipica invece dei cantati francesi. Grazie all’unione di questi stili nascerà il cantautorato italiano, preparando il terreno ai futuri De Andrè, Guccini, Paolo Conte e molti altri. Nel 1970, all’apice della popolarità e del successo televisivo, Gaber decide di lasciare per sempre la televisione e inizia la prima tournée teatrale con uno spettacolo chiamato “Il Signor G”. Forte del legame stretto con il pubblico televisivo Gaber riesce a portare il suo spettacolo in diversi teatri prima in Lombardia e poi per tutta Italia. Lo schema -almeno all’inizio- è sempre lo stesso; il pubblico, abituato al Gaber scanzonato e televisivo, si affolla nei teatri, venendo spiazzato dal nuovo Gaber, incendiario, scomodo, politico. In questo spettacolo, che poi da il nome al disco che ho deciso di ascoltare insieme a voi, Gaber inizia un processo di decostruzione della figura dell’uomo della media-bassa borghesia degli anni ‘70, iniziando proprio da sé stesso, il signor G.G. appunto.

Il disco

Il disco è la registrazione dal vivo dell’omonimo spettacolo, tenutosi al Teatro Piccolo di Milano il 6 ottobre 1970. Per la prima volta in un album di Gaber si alternano brani cantati e prosa, come nel teatro, tanto che questa formula prenderà il nome di “canzoni a teatro” o “teatro-canzone”. L’idea di questo spettacolo nasce dall’intensa collaborazione con Sandro Luporini, pittore viareggino, autore di molti dei testi di Gaber. Quello che nasce è un disco irriverente e atipico rispetto alle produzioni precedenti. Attraverso l’alternanza monologo e canzone, Gaber-Luporini non risparmiano nessuno, mediante una satira pungente e lirica in egual misura. Il cantautore milanese trova poi un interessante espediente scenico: sul palco si presenta solo lui, senza un ensemble musicale, senza una band e spesso senza chitarra; la musica infatti è stata precedentemente registrata in studio, Gaber canta quindi su una base musicale. Questo permette principalmente di evitare di muoversi con al seguito un gruppo numeroso di strumentisti, permette inoltre al teatro che li ospita di far risparmiare sul biglietto in quanto a guadagnare sono solo Gaber ed il tecnico del suono ma soprattutto, permette a Gaber di concentrare su di sé e sulle sue parole l’attenzione del pubblico. Il cantante infatti è l’unico protagonista, le sue parole ed i suoi gesti sono centrali nello spettacolo, proprio come fosse un monologo teatrale.

Questo video non fa parte de “Il Signor G” ma di uno spettacolo successivo, che poi darà il nome anche ad un successivo disco “Far finta di essere sani” (1973). Importante però è notare come l’espressione facciale e i movimenti siano caratteristici e molto espressivi, gli occhi sgranati ed il volto allibito descrivono bene l’incertezza dell’uomo moderno, che maschera il proprio disagio contornandosi di beni effimeri ed oggetti superficiali.

Torniamo a “Il Signor G”. Il disco si struttura come un concept album che racchiude tutta la vita di questo signor nessuno chiamato “G”, alter ego dello stesso Gaber. La canzone di apertura tuttavia è di rottura con la precedente versione di Gaber, quella televisiva. “Suona la chitarra” è un’invettiva verso il circo mediatico televisivo, fatto di finzione e apparenza, costruito ad arte solo con lo scopo di intrattenere il pubblico e distoglierlo dai reali problemi del paese.

E allora suona chitarra, falli divertire

Suona chitarra, non farli mai pensare

Il ritmo di mazurca accompagna il momento della nascita e della morte di G in un flusso circolare fatto di richiami e ricorrenze. La nascita porta con sè aspettative pesanti che famiglia e società fanno ricadere sulle spalle di G.

Sarà un uomo assai importante

Forte, bello e intelligente

Ma sta calmo che magari

Poi diventa un deficiente

A proposito del nome

Proprio G come mio nonno

Avrei voglia di reagire

Ma per ora ho troppo sonno

Seguono poi una serie di canzoni che rappresentano il periodo di formazione del carattere di G; dalla filastrocca dolce-amara “Giuoco di bambini: Io mi chiamo G”, il primo monologo in prosa in cui Gaber si cala in un “dibattito” tra due bambini. Il gioco con altri bambini è il primo momento di scambio che ognuno di noi ha al di fuori del proprio nucleo familiare, in quel momento, per la prima volta, si viene in contatto con le prime disparità sociali. Diseguaglianze che esplodono nel brano che segue “Eppure sembra un uomo”.

Da un’ invettiva verso il gener umano in toto si arriva all’accusa sociale, all’abuso di potere, alle condizioni disumane degli operai nelle fabbriche. Il 1968 è ancora caldo e Gaber si fa spesso e volentieri portavoce di quel movimento che tanto si è battuto per i diritti sociali e civili nel nostro paese (ed in tutto l’occidente). Gaber, con una disarmante lucidità, riesce anche nell’intento di descrivere due aspetti diversi dell’amore: “Una storia normale: Il signor G e l’amore” dove viene raccontato l’amore nella sua sfaccettatura più banale e quotidiana, il senso di monotonia che arriva dopo la passione dei primi tempi ed il tradimento piccolo borghese, più per noia che per passione. “L’orgia: ore 22 secondo canale (prosa)” invece arriva direttamente dall’epica borghese di certi ambienti ambigui dove tutto si scambia con accordi reciproci, persino il sesso; eppure l’orgia si ferma quando in televisione mandano un bel film d’amore. L’amore allora, quello vero, passa solo attraverso il media che più di tutti ha cambiato le vite degli italiani di quel periodo. G si trova ad un bivio, sente di aver deluso tutti. Tutti quelli che gli stanno vicini e lo amano, la sua famiglia, i colleghi, la società (“l signor G dalla parte di chi”). Carico di questa inadeguatezza G si prepara al gesto estremo (“Il signor G sul ponte”).

In un inferno mio signor G

via non diciamo frasi così

tutto s’aggiusta questo è il tuo motto

non lo ricordi hai sempre avuto

quello che hai dato.

e infine

L’acqua che passa l’acqua che scorre

che non riflette neppure una stella

passa una coppia vive qualcuno

e su quel ponte

non c’è più nessuno

La prima parte del secondo disco contiene alcune canzoni accomunate tutte dal tema della città e dell’ambiente. “Le nostre serate” è un brano del (1963), periodo in cui Gaber scriveva molto sulla vita quotidiana della Milano degli anni ‘60, tra giornate passate al bar (detti “Trani”, perché gestiti di solito da famiglie Pugliesi emigrate al nord per lavoro), ballate di scapestrati di quartiere (“La ballata del Cerrutti”) e canzoni dedicate a veri e propri quartieri di Milano (“Porta Romana”). “Com’è bella la città”: la giorstra di luci, colori ed opportunità attrae molte persone, dalle più svariate parti d’Italia, allora come oggi. L’espansione urbanistica spesso - purtroppo - si accompagna con una cementificazione selvaggia e la rinuncia a spazi verdi (“Il signor G incontra un albero (parzialmente prosa)”).

Ed io

che ho lavorato lavorato lavorato

ora mi fermo un momento a guardare

quel seguirsi di errori e il mio passato

e quella vita che mi avete rubato

E’ tardi, fra i rami sul Ticino, un beccaccino sfiora le foglie, travolto dagli spari.

L’albero rimasto solo rappresenta il protagonista, G, che arrivato ormai al tramonto ripensa alla sua vita e ne fa il bilancio. Alcuni versi da “Vola, vola: Il signor G e le stagioni”:

Provo a tornare nei luoghi

dove tu solo tu mi hai insegnato ad amare

ma quasi sempre c’è un prato

che aveva un colore che adesso non ha.

Nella sconda parte del disco si conclude la vita di G con due bellissime preghiere, una in prosa (“Preghiera (prosa)”) e l’altra cantata (“Io credo: Autoritratto di G”). “Maria Giovanna” è la rassegna finale, G raggiunge la pace con sé stesso e con il mondo che lo circonda attraverso una bizzarra parata, la canzone è enigmatica ma molto incisiva. In “Seconda ricorrenza: Il signor G muore” il protagonista descrive il suo funerale. Muore in una stanza che ha lo stesso numero di quella in cui era nato. Tra gli altri è presente anche un misterioso uomo sudato e con gli occhiali che era presente anche alla nascita. Anche in punto di morte G non si risparmia in critiche all’ipocrisia di certa gente.

Quanta gente affezionata

che premura che assistenza

c’è una busta sigillata

state calmi che impazienza

Ma c’è scritto solamente

G saluta la sua gente

s’è mangiato tutti i soldi

non vi lascia proprio niente

Questo disco è l’inizio della seconda vita di Gaber, quella segnata dal teatro e da spettacoli sempre più sociali, politici e filosofici. In questo album si delinea il Gaber che conosciamo meglio, quello contro corrente, una voce sempre fuori dal coro. Credo che un vero artista debba essere anche e soprattutto questo, portatore di un pensiero diverso, che non si omologhi alla massa, che sia pronto a criticare le ipocrisie della società, che parli di politica anche se non parla di politica. Gaber ci ha lasciato soprattutto questo in eredità. Vi lascio con questo splendido video, una delle ultime apparizioni di Gaber in televisione, ospite dell’amico Celentano, insieme ad Antonio Albanese, Dario Fo e l’amico fraterno Enzo Jannacci. Una cena tra amici in un Trani a Milano e una chitarra.

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